Quando ero piccolo, mio nonno Eugenio mi raccontava che c’era un grande progetto per unire Asti con Cuneo tramite una moderna autostrada. Erano i primi anni Sessanta, e nonno Eugenio, classe 1885, era un ottantenne che si rivolgeva a un bambino delle elementari con l’entusiasmo di chi vedeva nell’opera un’occasione per sviluppare le condizioni di vita delle nostre terre, parecchio arretrate in fatto di strade e collegamenti.
Sono passati tanti anni, caro nonnino e ogni volta che vado a Cuneo penso a te, a tutti i tuoi insegnamenti. Ma non prendo l’autostrada, non perché non voglio o per risparmiare: perché l’autostrada non c’è. Ce n’è qualche pezzo. Ci vorranno altri due anni per farla arrivare a Cuneo dove, un domani (domani quale?) dovrebbe proseguire per la Francia, tramite la realizzazione di un nuovo traforo di cui si parla, anche qui, da circa mezzo secolo. E intanto resta da completare la tratta albese.
Sembra gravare una maledizione sulle grandi opere, in Italia ma specialmente in Piemonte. Fatta salva la Torino-Milano, costruita prima della guerra, ci sono voluti decenni per giungere a qualche altro risultato concreto, come la Torino-Piacenza, la Torino-Savona, il Fréjus. Intanto il traffico è aumentato di dieci volte e i vicini paesi europei, a cominciare dalla Francia, hanno realizzato autostrade, tunnel, alta velocità e una logistica che noi ci sogniamo.
Ora sono stati sbloccati 8,7 miliardi di euro per le infrastrutture vitali del Paese. Si tratta di capire come e quando sarà possibile mettere mano ai cantieri. In un momento difficile per la crisi economica gli investimenti strategici diventano ancora più urgenti. Sono queste le vere priorità, prima ancora della riforma della giustizia, della legge elettorale. Bisogna mettere via le chiacchiere, le ipotesi assurde, le contrapposizioni sterili. L’Italia ha altre necessità, gli italiani hanno diritto ad avere infrastrutture e servizi come gli altri cittadini europei. Anche perché noi paghiamo per avere e tanto abbiamo già pagato.