Secondo i dati dell’Aire (Anagrafe della popolazione Italiana Residente all’Estero) resi noti in questi giorni, nell’ultimo anno più di 80.000 giovani hanno lasciato l’Italia per cercare lavoro all’estero, una vera e propria diaspora che ha assunto ormai dimensioni preoccupanti.
Il nostro paese non è più in grado di offrire lavoro ai giovani e questo è l’ennesimo segnale del pessimo stato in cui versano la nostra economia e il nostro sistema produttivo. E se teniamo conto del fatto che i giovani che oggi lavorano in Germania, in Francia, negli Stati Uniti, sono stati formati dal nostro sistema scolastico, possiamo considerare questi dati come un investimento fallimentare.
Mentre importiamo dall’estero manodopera indispensabile per far andare avanti le imprese, non riusciamo più a trattenere nel Paese i cervelli, i talenti, i giovani migliori, che finiscono per cercare – e trovare – lavoro e gratificazione economica e sociale in altri paesi meglio organizzati.
Io stesso, all’inizio degli anni ’80, sono stato costretto a emigrare in sud america per trovare lavoro. Allora non c’era scelta: o andarsene per cercare di costruirsi un futuro (con tutte le difficoltà e la nostalgia che questo comporta) o abbandonare i propri sogni. Mi auguravo, all’epoca, che in futuro nessuno fosse più “obbligato” a lasciare il Paese per realizzare le proprie ambizioni.
Purtroppo mi sbagliavo.
(8.4.2013)