Si chiamerà Fca, Fiat Chrysler Automobiles, il gruppo che nasce dalla fusione tra la storica fabbrica torinese e il marchio di Detroit datato 1925. Costruito ex novo dall’”americano” Sergio Marchionne, non si è lasciato mancare nulla: avrà sede legale in Olanda, perchè il Paese dei tulipani garantisce agli Agnelli il controllo della società pur con una quota di azioni del 30 per cento; la sede fiscale sarà a Londra, perchè in Gran Bretagna la tassazione sui dividendi maturati all’estero è più morbida di quella italiana; per la quotazione in borsa, ipotizzata per inizio ottobre, è stata scelta la piazza di Wall Street, perchè New York è la capitale dei capitali. In Italia che cosa resterà? Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha dichiarato che non conta l’ubicazione della sede, ma il mantenimento dei posti di lavoro tricolori, una speranza appesa al filo del comunicato Fca in cui si afferma che “tutte le attività che confluiranno nel gruppo proseguiranno senza alcun impatto sui livelli occupazionali”. Una frase sibillina, da cui si potrebbe evincere anche che alcune “attività” non confluiranno nel gruppo.
Ma non vogliamo fare i gatti neri e immaginare il futuro più buio di quanto non sia. Limitiamoci alla constatazione dei fatti. Letta si mostra ottimista sul prossimo arrivo di capitali dall’estero in quanto sostiene che ora il nostro Paese offre sufficienti garanzie. Ci auguriamo che abbia ragione, ma intanto assistiamo a un fenomeno meno rassicurante: non soltanto questi capitali di cui favoleggia non stanno arrivando, ma addirittura le nostre aziende se ne vanno, vuoi perchè i grandi marchi del made in Italy vengono acquistati da gruppi stranieri, vuoi perchè l’Italia è penalizzata da un sistema fiscale e da una burocrazia che scoraggerebbero chiunque. Per non parlare del potere dirompente che negli anni ha conquistato il sindacato, favorito da una classe politica che l’ha lottizzato, usato ma anche assecondato incondizionatamente, rendendolo intoccabile. E se a tutto questo aggiungiamo un governo e un Parlamento incapaci di prendere una decisione che duri da Natale a Santo Stefano, il quadro è completo: siamo un Paese che non incoraggia gli imprenditori.