8 marzo, festa della donna. E’ il giorno della mimosa, scelta nel 1946 dall’Udi (Unione Donne Italiane) per simboleggiare questa ricorrenza, nata negli Stati Uniti nel 1909 e approdata in Italia nel 1922. Molto si dirà e si scriverà nell’occasione per esaltare il ruolo femminile e ci piace credere che non saranno parole di circostanza destinate ad essere dimenticate il giorno successivo. Le donne lavorano, studiano, fanno politica con la grinta di chi deve recuperare millenni di emarginazione; e hanno ancora l’energia, quando tornano a casa, di essere mogli, compagne, mamme. E ci amano, incredibilmente ci amano. Anche se a settant’anni non siamo ancora riusciti a diventare adulti, anche se spruzziamo il sapone da barba sullo specchio del bagno e non puliamo con la scusa che siamo già in ritardo, anche se quando posiamo la tazzina del caffé nell’acquaio non ci passa neanche per la testa di darle una risciacquata, anche se quelle poche volte che le aiutiamo a piegare un lenzuolo glielo facciamo pesare come se avessimo costruito da soli la Transiberiana. E ci fanno sentire importanti, il pilastro della famiglia. Anche se quando abbiamo due linee di febbre le facciamo impazzire, anche se lasciano decidere a noi quello che già avevano deciso loro, anche se nei momenti difficili sono spesso loro a sostenere noi e non viceversa, dimostrando che la fragilità femminile fa parte di una letteratura superata. Forse in alcuni casi non ci meritiamo tanta attenzione. Basta leggere gli articoli di cronaca nera, di cui sono protagonisti uomini che non amano le donne. Basta cogliere certi commenti sulle colleghe di lavoro, ispirati a parametri ben diversi dalla professionalità e dalla competenza, un atteggiamento mentale di cui fanno le spese anche le parlamentari. E noi oggi arriveremo a casa con la mimosa, convinti che questo rametto di batuffoli gialli possa pareggiare il conto. In realtà non è così. Lo sarà quando non occorrerà più una norma che fissi le quote rosa né nel lavoro né nella politica, perchè a quel punto avremo imparato a giudicare un essere umano per le proprie capacità e non per le gambe da cicogna o per la facilità con cui si concede. Allora si potrà parlare di parità. Nel frattempo, speriamo che basti la mimosa.