Per qualche settimana il tormentone di turno, ossia l’elezione del Presidente della Repubblica, ci farà dimenticare la triste situazione in cui viviamo e ci tufferemo nelle discussioni sui candidati. Secondo l’elenco che i media nazionali ci propinano già da giorni, sono oltre quaranta i papabili, ma sicuramente nessuno così trasversale da accontentare tutti. E’ consuetudine, fin dai tempi in cui la Democrazia Cristiana avrebbe potuto permettersi di decidere da sola, individuare per il Quirinale una figura che raccolta il maggiore consenso possibile tra le forze politiche, considerato il ruolo di arbitro che dovrà ricoprire. Quindi, anche se è evidente che il nome del nuovo Capo dello Stato salterà fuori da un accordo tra Renzi e Berlusconi, è altrettanto chiaro che la fumata bianca non sarà così immediata: sia nel Pd che nel centrodestra ci sono abbastanza esponenti, da quelli di spicco ai semplici peones, che si ritengono schiacciati dal decisionismo dei rispettivi leader e approfitteranno dell’occasione per farsi sentire, per contrattare, per avanzare richieste. Come al solito. Infatti, pur non essendoci ancora nessun candidato ufficiale, c’è già chi prende le distanze, annuncia dissensi, fa presagire venti di fronda. Il caso più recente è quello del dem Stefano Fassina, che ravvisa nelle dimissioni di Sergio Cofferati e dalle conseguenti reazioni dei renziani un deterrente a far convergere tutto il partito sul nuovo inquilino del Colle: in parole povere, che la persona proposta ci piaccia o no, noi non la voteremo per fare dispetto a Renzi e ai suoi. E’ rassicurante sapere che possiamo contare su una classe politica così matura e responsabile. A prescindere dalle bizze di una e dell’altra parte e dagli agguati dei franchi tiratori, la scelta è difficile. Se è vero che, come diceva Deng Xiaoping, non importa che il gatto sia rosso o sia nero purché prenda i topi, qui tutti vorrebbero un gatto che a volte faccia finta di dormire quando i topi gli passano accanto. Quelli rossi e quelli neri.