Tiene banco sui media di tutto il mondo la questione greca, giunta ad un punto di rottura dopo mesi di trattative infruttuose tra il governo di Atene e i rappresentanti Ue. Anzi, gli interlocutori di Alexis Tsipras (foto) sono in realtà i vari capi degli Stati membri, a dimostrazione del fatto che l’Unione europea continua ad essere un coacervo di nazioni tra cui l’unico collante (per altro non accettato da tutte) è rappresentato dalla moneta unica: per il resto, cultura, leggi, storia, mentalità sono completamente diverse. A prescindere dai commenti degli economisti pro o contro Grexit, si impone un interrogativo: la diatriba sorta tra Atene e Bruxelles è di natura politica oppure economica? Nel primo caso, il rigore dei falchi potrebbe trovare una giustificazione nel desiderio di equità: Paesi come Portogallo e Irlanda hanno scongiurato il default grazie a sacrifici non indifferenti e senza chiedere sconti o dilazioni. Però, sbirciando un po’ tra le pagine di storia, si può scoprire che nel 1953 i governi di mezzo mondo cancellarono il 50 per cento del debito della Germania Ovest: all’Est c’erano i comunisti, già abbastanza impegnati a cancellare i dissidenti per preoccuparsi dei debiti tedeschi. Nella seconda ipotesi, ci sarebbe da preoccuparsi parecchio in quanto, se è vero che la perdita finanziaria è onerosa sia in caso di un parziale condono che in caso di un’uscita definitiva della Grecia, è altrettanto vero che l’Ue non può vacillare per gli scricchiolii di un singolo membro che, oltre al resto, non ha un peso specifico così determinante. La conclusione inevitabile è questa: comunque vada a finire, la vicenda ha messo a nudo un’Europa fragile sia sotto il profilo politico che sotto quello economico. Purtroppo. Non sarebbe il caso di cambiare qualche cosa?